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C'era una volta, in un tempo non molto lontano, un bambino di nome Mario che viveva con i suoi genitori in una piccola e accogliente baita di montagna.

Di primo mattino al sorgere del sole, era già in cammino per portare le pecore al pascolo poi, con la sua bicicletta, andava a scuola. A lui piaceva molto imparare, ma non vedeva l'ora di tornare nella tranquillità delle sue montagne per come veniva trattato da alcuni suoi compagni, che lo avevano soprannominato “il pecoretto”. Lui fingeva di non dargli importanza, ma le sentiva le loro risate. Seduto al suo banco con lo sguardo verso il basso, vedeva le scarpe degli altri alunni in ordine e pulite, mentre i suoi stivaletti erano spesso sporchi di fango e usurati, come i suoi vestiti, non certo alla moda. La sua famiglia era povera e lui usava gli stessi con cui andava al pascolo.

Le sue montagne almeno non lo giudicano e non lo fanno sentire diverso per il suo aspetto e per l'aiuto che da ai suoi genitori con il bestiame.

Mario adora camminare. Immerso nel verde sconfinato dei prati, a respirare il profumo dei maestosi alberi che si scagliano a ridosso della roccia delle alte montagne, ritrova la sua pace.

Panorami mozzafiato, tramonti da sogno, che illuminano le pareti rocciose riempendole di sfumature e cielo stellato, lo lasciano sempre a bocca aperta. Ogni volta trova dei particolari unici sui quali soffermarsi, che lo fanno sentire parte della natura incontaminata che lo circonda. Ne è talmente affascinato che talvolta non ritrova la strada di casa.

Nel cuore di una notte limpida, Mario viene svegliato da un cane che abbaia fuori dalla finestra della sua camera. Tutto solo in mezzo alle montagne, sarà sicuramente infreddolito e bisognoso d'aiuto.  Mario esce per portarlo in casa.

Smuove le braci tiepide del caminetto, la legna prende fuoco, e la tenue luce scoppiettante illumina il cucciolo.

Un cagnolino bianco con alcune macchie marroni a forma di nuvola sulla schiena, con corte orecchie chine verso il basso color biscotto, come il suo bel musetto che ha una riga bianca irregolare nel centro che arriva fino al suo nasino nero. Al collo una targhetta con scritto il suo nome: “Ruc”.

Aspettando che qualcuno passi a chiedere di lui, Mario e Ruc si affezionano molto l'uno all'altro. Il suo impeccabile fiuto lo riporta sempre a casa dopo il loro girovagare insieme.

Una domenica mattina, finito di aiutare i suoi genitori a fare il formaggio di pecora fresco, Mario e il suo instancabile amico partono per un'escursione; sempre più in alto verso la vetta. Dopo un paio d'ore di cammino, Mario si siede ai piedi di un albero alla fine di un bosco. Davanti a loro un vasto prato in salita, con al centro uno stagno rotondo nel quale si riflette il turchese del cielo, velato di bianco. A sinistra quella di cui Mario aveva solo sentito parlare, la casetta del fantasma soldato.

Di quella casetta in sasso, costruita da qualcuno con tanto sacrificio una pietra dopo l'altra, si racconta di un soldato che, dopo avervi trovato la salvezza durante la guerra, dalla finestra sparava a chiunque provasse ad avvicinarsi.  Il suo fantasma continua a proteggere quel territorio, e chiunque abbia provato ad andarci, non è mai tornato a valle.

Mario non vuole rimanere li, ma Ruc non ha alcuna intenzione di andarsene. Sembra quasi che il cagnolino abbia fatto un patto con il cielo che improvvisamente diventa scuro. Si alza un vento fortissimo e la pioggia inizia a cadere fitta sopra di loro. A fatica, sfidando il vento, Ruc si avvia verso la casetta in sasso, seguito da Mario che, nonostante la paura non può rimanere sotto la furia di quel temporale, che non accenna a fermarsi. I due amici al calar della sera, si addormentano in un angolino.

All'alba Mario viene svegliato da una goccia che cade dal tetto sul suo naso, Ruc non c'è. E' nel bosco e sta scavando con le sue zampette anteriori, senza fermarsi un attimo. Estrae dalla terra dei sassi ricoperti di terra scura, quasi nera, e li mette tutti insieme. Sono di varie misure, di forma irregolare, e la loro scorza ruvida li fa assomigliare ad una spugna; ma non sono sassi, sono troppo leggeri. E quel loro profumo forte, intenso come di castagna e di foglie selvatiche,  rimane vivo nel suo naso per parecchi minuti.

Decide di portarli in paese da un anziano contadino che per molti anni ha vissuto in alta montagna. Li avvolge in un panno che annoda ad un robusto bastone che si mette a spalle. Quasi arrivato, viene fermato da un ristoratore del posto, attirato dal profumo intenso che quelle piccole spugne nere emanano. “Dove stai andando ragazzo?” chiede, e Mario gli spiega. “ Fai vedere a me, magari ti posso aiutare”, prosegue.

Quando Mario apre il panno, il ristoratore rimane di stucco. “Ma quanti ne hai trovati ragazzo! E' meglio se li dai a me. Questi sono pericolosissimi come tutte le mine e le bombe che sono rimaste inesplose dopo la guerra su quelle maledette montagne. Portami a vedere dove li hai trovati e non parlarne con nessuno, spaventeresti tutti!”

Mario non sa cosa fare ma Ruc inizia a ringhiare e a tirare con i denti i suoi pantaloni, per portarlo via. Allora scappa correndo, non ha mai visto Ruc così arrabbiato. Bussa con decisione alla porta del contadino che vedendo il bottino avvolto nel panno sorride ed esclama: “il tuo piccolo cane dev'essere un esperto trovatore e ti ha fornito il bene più prezioso che le montagne custodiscono nel loro sottosuolo. Questi sono tartufi e valgono più dell'oro”.

Mario non si rende conto subito della fortuna che gli è capitata, ma capisce che Ruc  non è arrivato da lui per caso.  Con tutti i soldi che guadagna vendendo quei tartufi, e tutti quelli che Ruc continuerà a trovare con il passare degli anni, potrebbe riscattarsi di tutte le prese in giro dei suoi compagni e comperarsi tutte le scarpe e i vestiti che vuole.

Ma lui no, sulle sue montagne, legate al ricordo di una guerra difficile da dimenticare, ma troppo belle per non essere frequentate, Mario costruisce un rifugio. Proprio la sul monte Poieto, alle spalle di quella piccola casetta di sasso vicina allo stagno rotondo, dove lui ha trovato riparo, slegandola così dalla leggenda del fantasma soldato, che non esiste.

Negli anni la montagna ritrova il suo splendore e per la gente il rifugio di Mario diventa un posto sicuro dove sostare.

Per il suo più caro amico, quel cagnolino ormai stanco, arrivato dal nulla, è momento di andare. Mario di lui racconta di averlo seguito una mattina quando è partito lentamente dal rifugio quasi senza farsi vedere e di averlo visto addentrarsi nel bosco fino a sparire tra quelle rocce, dove ha ritrovato il suo collare per terra.  Di quella valle, da dove si poteva ammirare il rifugio in tutto il suo splendore alzando leggermente lo sguardo, la dura roccia si era trasformata nel migliore amico dell'uomo, un tenero cagnolino, che aiutasse Mario a capire che  il suo amore smisurato per la montagna poteva fargli compiere grandi cose, ed essere condiviso con gli altri.

I suoi vispi occhietti continuano a osservare il bellissimo panorama che guarda il monte Poieto dalla valle dei “Ruc”, e Mario sa che il suo migliore amico è li e non lo abbandonerà mai.

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